
Partita sotto segnali incoraggianti, la raccolta del riso in Lombardia rischia di chiudersi con un calo quantitativo di circa il 10% rispetto a un’annata media, sebbene le rese e la qualità siano positive. È quanto emerge da una prima rilevazione di Coldiretti tra i produttori mentre le operazioni di mietitura sono agli sgoccioli, diffusa in occasione del convegno del 28 ottobre “Il futuro del riso inizia con l’acqua. Agricoltura e cambiamento climatico: strategie per uno sviluppo sostenibile”, organizzato da Coldiretti Pavia alla presenza di esperti e rappresentanti istituzionali e al quale ha partecipato anche il presidente della Coldiretti di Milano, Lodi e Monza Brianza e presidente del Consorzio Villoresi, Alessandro Rota.
Ad aver influito sono stati in particolare la grandine, che ha flagellato alcune aree del milanese a raccolta già iniziata, e gli sbalzi termici con temperature anomale registrati in diverse zone nelle ultime settimane d’estate, che hanno frenato il completamento della maturazione delle piante. “Prima del taglio la produzione di riso quest’anno sembrava ottimale, ma alla prova dei fatti, dopo la raccolta, abbiamo dovuto riscontrare un calo significativo, almeno del 10 per cento rispetto a una stagione normale. E parlo di chi non ha avuto la sfortuna di essere colpito dalle grandinate estive – dichiara Ambrogio Cazzaniga, risicoltore di Rosate, a ovest di Milano -. In passato le tempeste avevano colpito il territorio, ma a strisce; stavolta hanno investito interi areali, con danni che per alcuni hanno sfiorato l’80-85 per cento della produzione, come ad esempio nella zona a sud del capoluogo, intorno a San Giuliano Milanese. Un disastro, anche perché il mercato non riconosce tutte le difficoltà che devono affrontare gli agricoltori. Per quanto riguarda le rese, invece, qui da noi siamo nella norma, sicuramente i risultati sono migliori di un anno fa: bene i tondi, un po’ peggio Carnaroli e Arborio”.
“Il riso quest’anno è proprio bello – dice Fabio Camisani, cerealicoltore di Gaggiano (MI) -, ma in questa zona il calo produttivo si sente: siamo a meno 15, 20% rispetto a un’annata normale, forse a causa di quei tre-quattro giorni in cui in agosto le temperature sono scese molto. Io avevo in campo Carnaroli, Arborio, Basmati e delle varietà di tondi – aggiunge Camisani -, le perdite si sono un po’ distribuite. Le rese invece sono andate bene, più degli anni scorsi. Nel 2025 è andata decisamente meglio del 2024, quando avevamo subito un vero bagno di sangue”. Soddisfazione anche dai risicoltori della provincia di Lodi, dove la stagione non è stata segnata da episodi atmosferici gravi e le temperature si sono rivelate miti nella fase di maturazione delle piante. In particolare il Carnaroli e l’Arborio hanno raggiunto una produzione leggermente più alta degli anni passati e rese fino al 50 per cento superiori a una stagione normale.
“Nella nostra provincia l’andamento della raccolta cambia da una varietà all’altra – afferma Silvia Garavaglia, risicoltrice e presidente di Coldiretti Pavia – In generale, dalle prime stime emergono alcune sorprese sulla quantità di riso prodotto, in molti casi inferiore rispetto alle aspettative. La qualità e le rese, invece, sembrano buone”.
Si tratta di una situazione molto diversificata, che varia da una zona all’altra, ma che testimonia come l’agricoltura sia l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Alle difficoltà legate al clima si sommano quelle sul fronte del mercato dove le importazioni selvagge di riso straniero, aumentate del 10% nei primi sette mesi di quest’anno, fanno crollare i prezzi di quello italiano, con i produttori nazionali che si vedono pagare quasi la metà rispetto a pochi mesi fa. Le quotazioni all’origine per le varietà più note come il Carnaroli o l’Arborio, ad esempio, sono passate indicativamente da 1,-1,10 euro al chilo a 60-70 centesimi nell'attuale campagna.
Una situazione aggravata dal fatto che il 60% di tutto il riso importato in Italia gode di tariffe agevolate, con il 50% che arriva confezionato. Sono tra l’altro preoccupanti le ultime notizie sulla revisione del Regolamento sul Sistema delle Preferenze Generalizzate (SPG) che rischia di portare ad una clausola di salvaguardia che, seppur basata sull’automatismo, potrebbe rivelarsi totalmente inefficace per la tutela del riso europeo. Infatti, se applicata nelle modalità proposte, si attiverebbe solo al superamento di oltre 600mila tonnellate di riso base lavorato, una quantità assolutamente inaccettabile e inutile a difendere la filiera nazionale.
Un problema che pesa anche nell’accordo tra Ue e Mercosur dove si prevede l’ingresso in Europa di riso a dazio zero fino a 60 milioni di chili, che andrebbero a sommarsi alle quantità attuali, con il Brasile che è oggi il primo produttore extra-asiatico a livello mondiale. Nell’intesa col Mercosur mancano reciprocità e regole comuni poiché i coltivatori sudamericani usano fitofarmaci vietati in Europa, hanno manodopera a basso costo e controlli meno rigidi.
Alla concorrenza sleale del prodotto straniero si aggiungono le incognite legate ai costi di produzione con i prezzi dei principali mezzi tecnici, dai fertilizzanti all’energia, che hanno visto negli ultimi anni degli aumenti a doppia cifra, sulla scorta di guerre e tensioni internazionali, che li collocano ben al di sopra del periodo pre Covid e guerra in Ucraina.
